Sono stata nominata. Ma non come in un reality show dove rischi di essere cacciata. Al contrario, qualcuno apprezza il mio blog e l’ha citato tra i suoi preferiti all’interno del Liebster Award. Ricevo la nomina e decido di proseguire il gioco, rispondendo alle domande e nominando a mia volta.
Grazie dunque a Filippo Semplici, autore dell’interessantissimo blog Nero su bianco, che dà utili consigli agli scrittori esordienti. Quindi, rispondo alle domande che Filippo mi pone.
Scrivere: una benedizione o una dannazione?
Una benedizione, perché non potrei fare a meno del mio spazio di libertà e di svago. Scrivere è il divertimento più grande, la massima soddisfazione, la liberazione definitiva dalle costrizioni quotidiane. I miei gialli sono rompicapi e io sono la prima a divertirmi nel costruirli. Una volta un lettore mi ha detto che si coglieva proprio, tra le righe, il mio divertimento. Mi ha fatto piacere, perché significa che questo arriva anche a chi legge. Una maledizione non potrebbe essere mai, anche se non mancano i lati negativi: per una persona solitaria come me, significa rinchiudersi ancora di più in un’attività che più solitaria non si può. Si direbbe che non voglio proprio darmi scampo.
Come scegli l’incipit delle tue storie?
Succede così: sgombro il campo dalla trama che ho in mente e che devo iniziare a raccontare. L’incipit per me non è l’inizio del racconto, piuttosto il primo contatto col lettore. Mi concentro sull’emozione iniziale che devo trasmettergli. L’incipit deve avere il vago profumo del senso generale del romanzo. Finora ho pubblicato un romanzo, “Come il mare ad occhi chiusi”, che un paio di settimane fa ha vinto il primo premio assoluto nel concorso internazionale Terra di Guido Cavani e il premio speciale per il miglior incipit. Il romanzo inizia così:
Quando con tristezza ripensava all’inizio della fine, gli venivano in mente solo flash di quel giorno. Anzi no, non un giorno, bensì un particolare frangente, una ridicola sequenza di minuti in cui la sua intera esistenza andò in malora.
E quando provò a ritirarsi su, fu solo per fare un tuffo verso il basso ancora più doloroso.
Se potessi sederti a un bar, in compagnia di un autore del passato, a chi offriresti un caffè?
Lo offrirei a Dashiell Hammett. Ho amato profondamente le sue storie, sia i romanzi che i racconti. Raymond Chandler scrive di lui: «Hammett ha restituito il delitto alla gente che lo commette per un motivo, e non semplicemente per fornire un cadavere ai lettori; e con mezzi accessibili, non con pistole da duello intarsiate, curaro e pesci tropicali.» È vero, ed è per questo che ti bevi un suo racconto come fosse un caffè. Oh, io glielo offro, il caffè, ma lui, che notoriamente aveva problemi con l’alcol, probabilmente ordinerebbe un whisky. E vada per il whisky!
E a chi, proprio, non lo offriresti?
Immagino che devo dire un autore del passato che non stimo. Un giallista che detesto è S.S. Van Dine. Non è un caso che Hammett e Van Dine si odiassero tra loro. Se ami l’uno non puoi amare anche l’altro. Van Dine pubblicò gialli che ebbero successo, ma non amava scriverli, semplicemente non poteva smettere perché gli permettevano di guadagnare molti soldi. E qui partiamo male: non c’è amore, non c’è passione. E si vede. I suoi gialli sono puro raziocinio. Arrivò anche a definire venti regole a cui secondo lui tutti i giallisti si dovevano attenere. Roba da far venire l’orticaria. Ti viene voglia di infrangerle per il puro gusto di fargli dispetto! E io dovrei offrirgli pure il caffè?
Hai mai pensato di smettere di scrivere?
Naaa. All’inizio avevo dubbi se iniziare o meno. Mi dicevo: tanto nessuno mi pubblicherà… tanto nessuno leggerà le mie storie… tanto non ce la farò ad arrivare in fondo… Una volta vinte queste titubanze e imboccata la via, non ho più avuto ripensamenti. Ci sono giorni che non ho voglia di scrivere e non mi obbligo a farlo. Mi serve anche a ricaricare, a pormi in attesa di un’idea che prima o poi arriverà, a sentire di nuovo la sete che mi serve per rimettermi davanti al foglio bianco di Word.
Ti offrono di fare la scrittrice a vita, per la metà del tuo attuale stipendio. Accetteresti? E perché?
No, non accetterei, perché implicherebbe lasciare il mio lavoro attuale, che mi piace. Faccio la psicoterapeuta, ho scelto di farlo e ho sviluppato competenze nell’ambito in cui mi interessa davvero fare la differenza: il sostegno alle donne vittime di violenza maschile. Questa parte della mia attività non la lascerei mai. La scrittura è un’attività di svago per me, e tale rimarrà. Lo voglio fare a vita, ma non voglio sacrificare l’altra me.
Quando ci si può definire davvero scrittori?
Quando un lettore incontra il tuo libro e sceglie di leggerlo. Non valgono: genitori e familiari, la migliore amica che non ti può dire di no, ecc. Per me conta il concetto di scelta: quel lettore vuole leggere te perché il tuo libro incontra i suoi gusti e stuzzica la sua curiosità.
Preferisci eroi o eroine?
I miei personaggi principali sono tutte donne. È una scelta che per me è anche una battaglia. Sono davvero stanca dei gialli e dei thriller con i soliti protagonisti maschili, decisamente stereotipati, con accanto personaggi femminili spesso secondari e altrettanto stereotipati, se non di più. Le mie eroine sono donne tutte diverse, non sempre sono personaggi positivi e anche quando lo sono, hanno anche inevitabilmente degli aspetti poco costruttivi. In realtà sono più donne che eroine. Detesto l’idealizzazione della figura femminile. Mi piacciono le donne vere, messe in situazioni di pericolo vere, che rispondono in modo autentico, a volte geniale, a volte catastrofico, ma sempre in linea col loro carattere.
Qual è il libro che avresti voluto scrivere tu?
Mani nude di Paola Barbato, premio Scerbanenco 2008. Ben scritto, ben congegnato, un finale stupefacente.
Accetteresti di fare il ghost writer, ovvero scrivere libri di successo, con il nome di qualcuno che non sa nemmeno tenere una penna in mano?
Non credo. Me lo vivrei come un’umiliazione, un dover scrivere per campare, un compromesso inutile.
Sei una tipa da lieto fine?
Scrivo gialli e per forza alla fine ci deve essere la soluzione dell’enigma. Quindi diversamente dalla realtà, dove si potrebbe non scoprire mai il colpevole di un omicidio, nei miei libri la soluzione non può non arrivare. Lieto fine però implica che le cose si mettano sempre bene per i protagonisti. Questo non è scontato, o meglio, nei miei finali accadono cose che non necessariamente vanno nella direzione dei desideri del lettore. La vita può essere dura, e così come mi impongo di non idealizzare le mie donne, così non mi permetto di eliminare l’amarezza che la realtà ci riserva spesso.
Fatto! Ora tocca a me nominare 11 blog che mi piacciono. Ecco le mie scelte:
Di seguito le mie 11 domande ai blogger:
- Sei un(a) inguaribile… (completa la frase)
- Qual è l’emozione che una storia ti deve lasciare?
- Se potessi vivere la vita di un altro/a, chi sarebbe?
- La mia droga è… (completa la frase)
- Un ricordo speciale legato ai libri?
- Il tuo sogno più lontano?
- La bevanda alcolica che non può assolutamente mancare nella tua vita?
- Il verso di una poesia che si è inciso nella tua mente?
- La tua esperienza di vita sociale più imbarazzante?
- Il personaggio letterario che ti spaventerebbe davvero incontrare nella realtà?
- Il personaggio letterario di cui, nella realtà, ti innamoreresti perdutamente?
Ecco, ho passato la palla. Per i blog nominati non c’è naturalmente alcun obbligo di rispondere e proseguire. Se decidete di rispondere, accetto anche insulti.
Ciao! Buon Liebster Award!